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29 novembre, 2010

I segreti della valle incantata




La strada, stretta e sinuosa, s'inerpica, scende, si tuffa nel bosco, emerge sul fianco della collina, sfiora un angolo di casale, un cipresso, un fosso. Il panorama si allarga, sull'opposto versante biancheggiano case isolate, chiome nuvolose di verde pallido in varie tonalità stringono macchie autunnali di rame e d'oro.
La strada gira, affonda, risale, si stringe ancora. Varca un cancello, si conclude sotto un sipario di rampicanti che frangiano una tettoia. Siamo arrivati, il giardino è questo. Ci sono entrato senza saperlo.
Giardino all'italiana? All'inglese? Alla giapponese? Come paiono limitate queste definizioni quando si entra nella poesia. Lietta Cavalli me l'aveva detto appena avevamo lasciato la provinciale: "Questa è una valle incantata". Il tempo stava correndo a ritroso, perfino la Toscana si allontanava, come se un bivio segreto ci avesse condotti fuori delle carte geografiche. Lietta Cavalli conosce le strade della magia. Avevo ancora negli occhi le stoffe che inventa nel suo atelier. Pieghe, goffrature, colori che sembra vengano da mondi lontani, segni di civiltà tramontate e insieme future in cui fluttuano antiche ricchezze di genti scomparse – i Traci, i Celti, gli Sciti – e apporti di galassie invisibili. E ora un giardino mai visto simile, che né le parole né le immagini possono mostrare nel suo intero manifestarsi di lembo dell'Eden in una valle segreta. Qui la terra è calcarea, non accetta le imposizioni, bisogna chiederle cosa vuole e offrirglielo con amore, allora sì, ti ripaga. Semi e radici vagano per loro conto, offrono indicazioni, noi possiamo soltanto assecondarle, educarle, ordinarle secondo armonia.Deve essere qui la ragione del fascino di questo giardino che giardino non è; è uno specchio  di paradiso che scende a terrazze per la costa della collina in un concerto di colori vivaci e verdi abbandoni. Un giardino come una musica dove ogni strumento ha il suo proprio suono che può essere modulato in toni diversi ma non forzato a cambiare la propria natura. Ecco allora, nelle diverse stagioni, la mescolanza fra i toni alti delle dalie, dei gerani, delle rose ottobrine, quelli caldi delle ginestre, della vite americana, dell'iris, quelli profondi dei cipressi, delle querce, del lauro, quelli sospirosi del salice, dei papiri, delle ninfee, con gli arsoli del melo, del corbezzolo, dell'olivo. Un'orchestrazione, più che un progetto botanico, dove si può inserire la nota anomala come un rondò per corno di mozartiano divertimento, ma dove l'impegno maggiore è nel contenere i suoni indisciplinati che vorrebbero invadere spazi non pertinenti. "Vede queste canne?", dice Lietta Cavalli. "Bevono tutta l'acqua della pendenza e tendono a conquistare altri spazi. Piuttosto che tagliarle, però, abbiamo preferito costringerle dentro spalliere di piante più forti, che non si fanno scalzare".Un giardino, insomma, che non vuole appartenere a uno schema, ma è pura delizia di libere convivenze che sembra abbiano trovato da sole il perfetto equilibrio tra l'artificio e la spontaneità, a cominciare dalla piscina ovale, che si va via via trasforman- do in un piccolo lago per la crescita naturale di piante – nate tra le fessure del bordo – che nessuno s'azzarda a togliere.

Camminiamo nel prato seguiti passo passo dalla gattina Orlando (un omaggio a Virginia Woolf), inebriata dai profumi che salgono dall'erba; poi lungo la scala che porta alla casa ci accompagnano la nepitella, la menta melissa, l'erba cipollina, la maggiorana, il rosmarino, lo spigo, la salvia, l'alloro. Non mi era mai capitato che in un giardino gli olezzi dei fiori si fondessero così strettamente, senza sopraffarsi a vicenda, con gli aromi domestici e con i profumi di un orto che non c'è, ma siamo nella valle incantata, no? E questo è un giardino di libertà. O di sapienza?.

Massimo Griffo

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